7 Marzo, una giornata concitata e difficile, iniziata all’alba.
Anna, Giuliana, Andrea, Fabio e Giorgio si trovano davanti ad un ponte sul lato afghano, dall’altra parte del ponte il Tajikistan. Le guardie di frontiera li fermano, il confine con il Tajikistan è chiuso non possono passare. Eppure quella è la sponda che conduce all’aeroporto di Dusambe e quindi a casa. Che fare?




Inizia così una lunga, lunghissima giornata di telefonate e messaggi che rimbalzano dall’Afghanistan, all’Italia e da li alle ambasciate di Kabul e Tashkent in Uzbekistan. Che minchia c’entra ora l’Uzbekistan non si capisce più un tubo! Semplice, l’Italia non ha una rappresentanza diplomatica in Tajikistan e l’ambasciata di riferimento per questo paese è quella di Tashkent.
Vi risparmio la cronaca delle telefonate, gli annedoti, le tensioni e le snervanti attese di risposte che tardavano ad arrivare. I nostri sono rimasti ospiti del corpo di guardia afghano finchè è giunta l’ora per i bravi soldatini di andarsene a casa. E come ogni favola che si rispetti in quel momento si sono aperte le porte dorate (si fa per dire del Tajikistan) grazie agli abili maneggi del vice console Bielli dell’ambasciata di Tashkent e alla dedizione dell’unità di crisi di cui allego foto.

Peccato che la favola abbia un amaro prezzo da pagare: quarantena!
14 gg a Korogh, in un ospedale di stampo sovietico, niente doccia e letti sfondati. Alla cena provvede un abile ma ormai stremato Ibrohim, senza il quale questa storia sarebbe avrebbe avuto un finale molto più amaro e difficile.
Per il momento stanno bene e sono al sicuro. Ora non resta che pazientare e trovare il modo di riportarli a casa.

Il lavoro indefesso dell’unità di crisi (sempre quella della foto) non si ferma qui!