il diario di Annapaola I colori del Wakhan

Magico il Wakhan corridor, la sua gente, i suoi colori, anche se siamo in inverno. Si intuiscono i campi coltivati dai lunghi solchi paralleli dove  invisibili semini  dormono per dare il cibo dell’estate. Non sono regolari come da noi, disegnati dalle macchine, ma disegnati dalle mani dell’uomo che sposta pietra dopo pietra per lasciare solo la terra e trova una nuova posizione per ognuna di quelle pietre, in un cumulo ordinato o più spesso a contornare il margine del campo. 

Si intuisce anche dove trova origine la preziosa  fonte idrica per irrigare i campi: un po’ più in alto, in una forra, parte una canaletta con pendenza costante che porterà l’acqua  dentro l’intricata rete di canalette scavate a mano che circondano i campi e scendono verso il fiume Wakhan.  Le sue acque, a tratti ghiacciate, hanno il colore freddo dell’inverno, azzurro chiaro, mentre più a valle diventa verde, verso nord, dove il fiume prende il nome di Panj per poi diventare l’Amu Darya che sfocia nel lago d’Aral, l’antico e leggendario fiume Oxus.

Chissà che bello d’estate, tutto verde, ci accontentiamo delle immagini  su Google.  Per ora godiamo dei colori dei vestiti delle donne che risaltano vivaci come fiori.  Anche i secchi gialli per l’acqua, taniche in plastica tagliate, fanno la loro figura.  Da lontano tutto è bello, ma a pensarci bene anche da vicino, quando ci avviciniamo i bambini ci corrono incontro curiosi e sempre sorridenti, si mettono in posa per la foto e poi la vogliono vedere sul display e ringraziano, così anche gli uomini, le donne meno, peccato sono le più belle!  Sono vestite dello stesso colore invernale le case di sasso e fango, intonacate all’esterno con malta di argilla e paglia, e fumo della stufa che si alza dai loro tetti piatti che esce dall’unica apertura. Non ci sono finestre,  l’interno è buio e la luce entra da quell’unica apertura sul tetto, un fascio di luce che ruota intorno al cuore della casa, la stufa e il forno per il pane.

E poi, alzando lo sguardo più su, il bianco della neve, la neve che siamo venuti a cercare e che ci fa sempre meravigliare, che ci porta a scrutare i versanti per  riconoscere le possibili vie di salita fino alla cima.  Montagne a destra e a sinistra, ma poi guardando dentro le valli laterali altre montagne sempre più alte, un mondo da esplorare. Salendo a destra la catena dell’Hindukush, a sinistra la catena Shakhdara e quella del Wakhan parte del Grande Pamir, di fronte dove finisce la strada, a Sarhad e Broghil nostra casa per 9 giorni, il piccolo Pamir. Intravediamo, allungando il più possibile lo sguardo dentro le valli laterali, lunghi ghiacciai che portano a cime che superano i 5000 m fino alla quota  di 7492 m s.l.m. del monte Noshaq, la montagna più alta dell’Afghanistan e che per noi ha un significato particolare perchè da li è partita l’idea del nostro progetto. Noshaq aspettaci, prima o poi qualcuno di noi tornerà. 

Korhog, 13 marzo 2020